Guardando Squid Game ho ripensato a quell’intervista nella quale Charlie Brooker ci spezzava le gambe dicendo che, affacciato alla finestra (e alludendo alla pandemia), non credeva che la gente avesse effettivamente bisogno di una sesta stagione di Black Mirror. La serie coreana per un verso non lo contraddice perché la produzione è iniziata prima del gran casino, ma per altro lo smentisce, perché a quanto pare l’abbiamo vista in tanti.
A me è piaciuta molto, anche se l’ho trovata un po’ motteggiante, ambigua e didascalica nelle conclusioni: la metafora del capitalismo? Le spietate spire della teoria di ogni gioco? “L’inconfondibile atmosfera del giorno del Grazie”? Boh.
Ho avuto l’impressione che, pescando qui e lì, avessero pronti tre o quattro finali e poi, indecisi su quale scegliere, abbiano deciso di girarli tutti, finendo inevitabilmente per pisciare (per usare un termine tecnico) un po’ lungo.
Transvertebrazione di Piperno
Dove nascondere la testa, in questi mesi e anni scabrosamente insulsi, se non in un saggio su Proust? Un nascondiglio programmato, in realtà, perché era