Transvertebrazione di Piperno

Dove nascondere la testa, in questi mesi e anni scabrosamente insulsi, se non in un saggio su Proust? Un nascondiglio programmato, in realtà, perché era già da qualche mese che attendevo la pubblicazione di “Proust senza tempo” di Alessandro Piperno.

La prima nota è di sorpresa, perché attendevo un libro scritto da un romanziere affermato e da un professore di letteratura francese, ed è infatti anche questo. Soprattutto, però, è l’opera di un lettore innamorato che racconta la “breve storia di una lunga fedeltà”, dagli albori alla maturità di quella passione.

Non è solo un bellissimo saggio su Proust, e segnatamente sulla Recherche, ma in particolare sui proustiani, epigoni e idolatri del tempo perduto.
Mi sono accorto subito che i proustiani di cui parla Piperno sono inevitabilmente molto diversi da quelli che ho conosciuto io. I suoi sono come dannati che si beino di uno sconcerto insanabile: in qualche modo ricordano il povero cane ferito rinchiuso nella pancia della Daphne dell’Isola del giorno prima, la cui piaga veniva curata ma perché non si chiudesse.
Quelli che mi è capitato di incontrare sono, molto più modesti, del tutto diversi: si esauriscono nell’aver letto il mastodontico librone e nel sottrarsi a qualsiasi discussione, poiché loro hanno capito e tu non potresti mai. Tentano, insomma, uno snobismo che non è alla loro portata.
I proustiani di cui parla Piperno, al contrario, magnificano l’opera compulsandola per decenni e trovandosene sempre disarmati. Mai direbbero, probabilmente, di averne completato la lettura.

Tentando una parafrasi a dir poco blasfema, l’effetto generale del saggio è quello di ritrovarsi, sempre e tutti, in una camera da letto sulle cui pareti una lampada colorata proietti immagini che ci salvano dalla solitudine.

 

 

piperno

 

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