I tifosi, se non vedono, non credono. Per loro non è rigore quando l’arbitro fischia, come dice Vujadin Boškov, ma quando non c’è alternativa all’evidenza. E spesso neanche basta. A San Tommaso, alla fine, dopo tanto dubitare, fu sufficiente vedere e toccare, per credere. Ma non era un tifoso, non era mosso dal desiderio di negare il fatto che gli era proposto. Semplicemente, e comprensibilmente, dubitava.
Negli ultimi tempi, funestati dalla battaglia degli ultras sul tema dell’immigrazione, è stato fatto circolare in rete un banner con l’immagine di tre piccoli bimbi africani, vistosamente malnutriti e probabilmente molto malati. Sulla foto qualche tifoso senza scrupoli ha scritto: «Sarò favorevole agli immigrati in Italia, quando arriveranno questi». Lasciamo andare che la necessità di salvare quegli esuli dal mare non sia materia opinabile, ma semplice questione di civiltà. E andiamo quindi incontro ai tifosi dei respingimenti cercando, per quanto possibile, di parlare la loro lingua.
Nei giorni scorsi un terribile naufragio in Libia ha causato almeno cento dispersi. Tra questi il mare ha restituito il corpo esanime di tre bambini. Che avranno avuto quei piccoli corpi di diverso da quelli dei bambini africani sfruttati da quello squallido banner di cui parlavo poco sopra? Non è dato sapere. Dello strazio del naufragio la cronaca non ha pietà, e forse non può né deve averne: sta di fatto che le immagini di quei cadaverini sono disponibili in ogni angolo del web. Cosa devono vedere di più quei tifosi, per credere e capire? Forse hanno bisogno di toccarli, per sincerarsi che siano freddi? Davvero gli basta girarsi dall’altra parte, per non vedere quel fallo da rigore?