C’è un capraio ambizioso che in qualche modo riesce a diventare molto ricco. Dopo anni all’addiaccio ha finalmente un palazzo, della servitù e una moglie giovane e bella.
È il protagonista di due atti di Raffaele Viviani messi in scena nel 1961 da Nino Taranto. “Don Giacinto a forza” era il titolo.
Anche se ora è più che benestante, l’ex capraio è infelice lo stesso, perché quello che ha non gli basta. Vive in un piccolo paese e il denaro gli fornisce ogni forma d’agio, ma non il rispetto che desidera. Lui è rimasto Giacinto, compare Giacinto, e niente di più. Quel che brama davvero è un riconoscimento sociale del suo nuovo stato: vuole essere “don”.
Per riuscirci briga in ogni modo tentando d’essere ammesso al “Circolo dei galantuomini”, dove ci sono il farmacista, il medico, vari notabili e altri signorotti che vantano scampoli di nobiltà. Tra questi c’è chi profitta della smania di Giacinto e gli scrocca denaro e altre utilità. Uno addirittura insidia la giovane moglie e tanto tenterà che l’avrà. Il paesino mormora e commenta velenosamente l’ambizione di Giacinto, finché prende a canzonarlo affibbiandogli il soprannome di “Don Giacinto a forza”. Don, a forza.
E insomma, povero Berlusconi.