Sbardella sorride bieco dai banchi di Montecitorio e guarda lo sconfitto Andreotti. Al Quirinale va Scalfaro e il Fanciullo applaude con glaciale compostezza. “Guarda come si sta al mondo”, dice lo Squalo, senza nascondere ammirazione.
Saper perdere è una virtù preziosa. Non mi sembra, però, che sia la principale caratteristica di Berlusconi: basterebbe ricordare, a questo proposito, il decreto che chiedeva quella notte del 2006, quando però Pisanu si arroccò e poi per questo scomparve. Un tratto del carattere di quel leader che Moretti aveva descritto alla perfezione ne Il Caimano, dando corpo a una di quelle coincidenze narrative passate poi per capacità divinatoria.

Tuttavia, anche se forse non sa perdere, Silvione non ha alcuna paura della sconfitta. E allora se la gioca nel suo modo scomposto, irrituale per rito, e istituzionalmente sgrammaticato.
“Non sapevano che l’impresa era folle e dunque la realizzarono”. Molti citavano Bertrand Russel ed Erasmo da Rotterdam nella prima ubriacatura del berlusconismo, poi hanno smesso di bere via via che gli italiani hanno smesso di bersela. Non per questo diventando migliori, certo.
Sta di fatto che il Cavaliere (perché è ancora Cavaliere di svariati ordini) valuta la possibilità concreta della sconfitta molto meno dell’improbabile vittoria. Sottraendo una tara consistente al mitomane e all’incosciente, resta pur sempre un coraggioso, un ottimista.

Gli importa davvero poco di perdere, di restare ancora una volta deluso da falangi di scalzacani e vari grumi di percolato ideologico. Questa abnorme prosopopea autoincensoria che trascina avanti, come uno stercorario la sua palletta, vale chiaramente zero. Ma l’impronta che lascia è quella di una forza indomita che è ingrato giudicare con sprezzo, al di là dei giudizi necessariamente severi sulla grettitudine culturale della persona e i limiti dello statista.

Berlusconi non deve andare al Quirinale. Nessuno lo vuole davvero e ciò che più conta non lo merita. Ad ogni modo questo vecchio che corre, ricco ai limiti del poveraccio, mi sta simpatico. Non serve farne elogio, per dire che anche da un folle si impara qualcosa. Non come si sta al mondo, forse: ma comunque qualcosa.

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