Questo è il giorno in cui scrivo un post in difesa di Luigi Di Maio. E si vede che doveva succedere. Non so se vi ha raggiunto la notizia dello scazzetto tra il ministro degli Esteri e Lilli Gruber a Otto e mezzo. No? Non vi salverete: ve lo racconto.
La giornalista ha pungolato in trasmissione Giggino perché nel suo libro (che non ho letto, ma non è che stia qui a farmene un vanto) avrebbe raccontato di essere stato più volte indicato come omosessuale per essere screditato.
La Gruber si infervora e rimprovera Di Maio chiedendo come sia possibile percepire il termine “omosessuale” quale capace di screditare qualcuno, “nel 2021”.
Di Maio replica che nel suo libro ha specificato di non essersi offeso per il termine che in sé, appunto, non contiene certamente disvalore, ma che indubbiamente gli è stato rivolto con la chiara intenzione di screditarlo. Non lo ha detto così bene, ma è questo il succo.
La Gruber però non ci sta e intigna. E secondo me ha torto marcio.
Il fatto che il termine omosessuale non costituisca (banalmente) offesa non esclude che in Italia e nel mondo pascolino centinaia di ovini che lo fanno roteare come una clava. E Di Maio ha tutto il diritto e l’utilità politica di evidenziare che tali capre belino al suo o a qualunque altro indirizzo. A questi la Gruber risponderebbe con l’indifferenza, laddove sarebbe molto più utile sottolineare che chi utilizza il termine omosessuale per screditare qualcuno è un omofobo e un cretino (che poi è ossimoro).
Morale: la Gruber non ha capito niente e il Giggino nazionale ha ragione.
L’udienza è tolta.