Ho resistito finché ho potuto, ma poi perché mai dovrei resistere? Ecco allora i miei due sesterzi sul tema del romanesco dilagante. Più di qualcuno ha già spiegato che non stiamo parlando di un dialetto, quanto più di uno slang: tendo a essere d’accordo e credo che questo faccia una grossa differenza. La mia idea è che il romano che si lasci scappare un’espressione romanesca lo faccia in modo abbastanza inconsapevole: è convinto cioè di parlare un semplice italiano colloquiale, adeguato in fondo a qualsiasi contesto. Il veneto o il napoletano, invece, è molto meno disinvolto sotto questo aspetto: sempre, ovviamente, che si tratti di persone civili e che intendano farsi capire quando parlano.
Da napoletano trapiantato a Roma da quasi quindici anni, sono ormai dialettalmente bilingue (anche se abbiamo detto che il romanesco non è un dialetto). Mi esprimo quindi con una certa spontaneità in entrambi gli idiomi. Tuttavia, è molto più probabile che io possa dire a qualcuno «veda ‘n po’» in luogo del corrispondente napoletano «verit’ nu poc’». È evidente che l’espressione romanesca è innocua, mentre quella napoletana può risultare incomprensibile. Ed è per questo che il romano vive la questione in modo molto più “sciallo”. Addirittura, scegliendo la versione napoletana, ci si trova obbligati anche a dare del “voi”, cosa che a nord del Garigliano suona ormai abbastanza ridicola. (Ed è per questo che i napoletani si ostinano insopportabilmente a dare del “voi” in italiano: traducono la lingua madre).
Tutto questo per dire che sì, è vero: il romano, certo d’essere compreso, “sbraca” più facilmente. Mentre il napoletano (che nel suo dialetto si fa storicamente forza di una letteratura, una musica e un colossale teatro di riferimento), se è una persona educata, tende negli stessi contesti a farlo meno.
A proposito dei dialetti, c’è un aspetto che mi colpisce molto. Purtroppo, quando qualcuno decide non di parlare ma di scrivere in romanesco, o ancor di più in napoletano, lo fa in barba a qualsiasi cura della forma. Scrive come parla. D’accordo, se l’uso del dialetto presuppone un contesto informale, allora si può accettare che lo stesso contesto liberi anche dall’attenzione maniacale a quel labirinto di elisioni, apostrofi e troncature che una scrittura corretta richiederebbe. Lo capisco ma lo soffro lo stesso.